Novak Djokovic e l’importanza di essere sé stessi

di NILO VLAS

Vendetta serba

Questa domenica a Melbourne Novak Djokovic si è vendicato di un sistema. La decima conquista dell’Australian Open, record assoluto per lo Slam dei canguri, nonché 22esimo Major in carriera per il serbo, record storico da condividere con Rafael Nadal, erano traguardi palesemente secondari di fronte all’obbiettivo principale: dimostrare all’Australia e al mondo che Djokovic non si piega di fronte a nulla.

La finale del 29 gennaio oggettivamente non è stata una bella partita. Il serbo ha vinto il primo set 6-3 senza troppe difficoltà, ma si innervosisce nel corso del secondo, trascinandolo al tie-break contro uno Tsitsipas ancora più nervoso di lui. Il match è uno di quelli determinati non da chi gioca meglio ma da chi sbaglia di più e il greco sbaglia troppo. Tra alti e bassi e un’evidente tensione che opprime entrambi i giocatori, anche il terzo set giunge al tie-break, dove Djokovic la spunta nuovamente e porta a casa il risultato. La partita è uno spettacolo convulso: entrambi sbagliano molto e soffrono la tensione. Rari gli scambi interessanti, più spesso il gioco finisce con un errore non forzato. Eppure, come direbbe Djokovic, pobeda je pobeda (una vittoria è una vittoria)! Non sarà la finale migliore giocata dal fuoriclasse di Belgrado, ma corona un torneo eccellente nel corso del quale ha perso un solo set, al secondo turno contro Enzo Couacaud. Stefanos Tsitsipas è solo una comparsa di uno spettacolo che non lo riguarda: Novak non combatte contro di lui ma contro il mondo.

Un anno fa, poco prima dell’inizio degli Australian Open 2022, Djokovic venne espulso dall’Australia, impedendogli di difendere il titolo e competere sul campo che più gli ha portato fortuna nel corso della sua carriera. Djokovic non venne deportato perché non vaccinato, né per le presunte irregolarità della sua esenzione e del suo visto. Il visto venne annullato dall’allora ministro dell’immigrazione Alex Hawke poco dopo l’arrivo del campione in terra australiana: lo status di Novak divenne dunque illegale e fu internato in un centro per migranti clandestini, dove gli fu persino negata la visita di un prete ortodosso. Tutto ciò avveniva dopo che la contrarietà di Djokovic a vaccinarsi contro il Sars-Cov-2 continuava a macinare scandali nel corso dei mesi precedenti. Va da sé che appena annunciato l’imminente arrivo di Djokovic in Australia, l’opinione pubblica andò in combustione. Ma non vi era nulla di sbagliato nei documenti di Djokovic: l’annullamento del visto era infatti illegittimo, cosa che gli avvocati del serbo non ebbero difficoltà a dimostrare. Il visto venne riqualificato valido, ma a quel punto il ministro dell’immigrazione, sottoposto a pesanti pressioni sia dal basso che dall’alto, espulse Djokovic con un ordine speciale. La giustificazione? Le idee di Djokovic sulla vaccinazione contro il covid potevano alimentare problemi di ordine pubblico, siccome il campione poteva diventare un’icona dei novax. Insomma, Djokovic venne espulso per le sue idee. In altre parole, ha compiuto psicocrimine.

Ciò avveniva in Australia, una nazione che, al pari dell’Italia, era estremamente compiaciuta di sé stessa per essere stata la prima della classe nell’applicazione di ogni più assurda restrizione pandemica. È in Australia che persone sane e negative al covid sono state rinchiuse nei campi di quarantena per aver violato qualche regola, ed è sempre l’Australia che ha impedito ai suoi cittadini non vaccinati bloccati all’estero di tornare a casa propria. La società australiana, al pari di quella italiana, al tempo dell’Australian Open 2022 rappresentava un esercito di scimmie urlanti, reduci da due anni di sacrifici che aveva sopportato con la masochista soddisfazione del “bravo cittadino” che ha fatto il suo “dovere” (ed è pronto a uccidere chi invece non lo ha fatto). La sola esistenza di una persona come Djokovic appariva a queste scimmie come un oltraggio alla loro presunta dignità. Così il governo non poteva che seguire gli umori della biomassa. Anche le elezioni erano vicine e l’esecutivo che aveva puntato tutto sull’intransigenza delle restrizioni pandemiche doveva dare un’ultima prova di perversa coerenza. Nole venne cacciato, messo alla gogna mediatica come l’ultimo dei criminali, insultato dai telegiornali e deriso nei social network.

Al di là della pesante umiliazione morale, era anche un duro colpo per la carriera sportiva del serbo. L’impossibilità di difendere il titolo, che aveva vinto l’anno precedente, gli fece perdere tutti i punti del torneo. Indietreggiare molto nella classifica è un problema per le teste di serie del tennis mondiale, siccome ciò significa incontrare avversari forti sin dai primi turni dei tornei. Il rischio è sempre quello di ritrovarsi in un circolo vizioso da cui è difficile tornare in cima. A Djokovic nel 2022 furono pure preclusi tutti i tornei nordamericani, dove non poteva recarsi sempre a causa del vaccino. Ma persino nei posti dove poteva giocare, tutto il carrozzone del pensiero unico pandemico fece in modo di farlo sentire un ospite non grato. Anche in questo l’Italia voleva essere la prima della classe: dai politici ai funzionari della Federazione Italiana di Tennis, tutti fecero a gara su chi faceva la voce più grossa con il disgraziato Djokovic, che non avrebbe dovuto giocare in Italia (nonostante i decreti legge non lo impedissero).

Nole umiliò l’Italietta, costringendola a premiarlo per ben due volte nel corso dell’anno: prima agli Internazionali di Roma, poi alle ATP Finals a Torino. Già dalle prime partite dopo lo scandalo australiano il serbo dimostrò di non essere disposto a cedere alla pressione che si manifestava ovunque, dai fischi del pubblico alle incessanti domande inquisitorie dei giornalisti: “perché non te lo fai?”. Quando arrivò il turno di Wimbledon, giunse un’altra doccia fredda: in un impeto di russofobia tipicamente anglosassone, i giocatori russi e bielorussi vennero esclusi dal torneo, cosa che spinse l’ATP a privarlo dei punti della classifica mondiale. Per Djokovic è un altro disastro: avendo vinto l’anno precedente, perde ancora una volta tutti i punti del torneo. Ciononostante il serbo non si scoraggia e vince ugualmente lo Slam. Superando la ferita dell’umiliazione e le trame dei suoi nemici, che lo vorrebbero per sempre fuori dai giochi, Nole rimane a galla in cima al tour del tennis maschile. Sembra che nulla lo possa scalfire, ma in realtà non è così. Nole sente il peso del generale disprezzo, vede la moltitudine di dita puntate, soffre per le offese, ma stringe i denti e va avanti. Lanciandosi in questo Australian Open 2023 è una macchina spietata che non lascia alcuna chance ai suoi avversari. Ma quando finalmente cade anche l’ultimo avversario, il greco Stefanos Tsitsipas, Djokovic scoppia a piangere. Piange a dirotto, mai così forte durante l’intera carriera. Ha raccolto la sfida che gli aveva lanciato il mondo, e l’ha vinta. “La più grande vittoria della mia vita, considerate le circostanze” dice dopo aver alzato il trofeo. La comunità serba di Melbourne, che ha occupato gli spalti della Rod Laver Arena, è in delirio. Dal suo VIP box, anche Bill Gates è costretto ad assistere al trionfo di questo “novax”, che ancora una volta dimostra a tutti di essere il migliore.

L’importanza di essere sé stessi

Perché Djokovic è così speciale? Essere uno dei Big 3, il trio Federer-Nadal-Djokovic che ha dominato la scena del tennis negli ultimi vent’anni, di certo lo rende già un personaggio fuori da ogni schema e categoria. Non solo: è sempre stato il meno amato e più controverso dei tre. Il motivo è che Djokovic non è solo un atleta eccezionale, ma è anche un Uomo con la maiuscola. Djokovic non è amato, in parte perché si è intrufolato nella leggendaria rivalità degli altri due, costringendoli a fare i conti con il “nuovo cattivo in città”. Ma soprattutto perché è un uomo che non ha paura di dire la sua, ha un’opinione su ogni cosa e spesso non è quella che il mainstream vuole sentire. Peggio, Djokovic è un “complottista” e ciò era emerso già molto prima della pseudopandemia del coronavirus. In confronto Nadal e Federer (ritiratosi dal tour pochi mesi fa) sono gli esponenti perfetti di un gioco il cui unico scopo, mancandogli il respiro popolare degli sport di squadra (e in particolare del calcio), è intrattenere i VIP che infestano gli spalti delle grandi arene sparse in giro per il mondo. Rafa e Roger non hanno alcuna battaglia da combattere fuori dal campo, nessuna idea da difendere. Mai da loro si è sentita una dichiarazione sbilanciata che abbia fatto discutere. Quando è giunta l’isteria pandemica, non hanno esitato a schierarsi con il pensiero dominante.

Djokovic è uno dei tre tennisti non vaccinati tra i primi 100 della classifica ATP. Per coincidenza, è anche il numero 1. È indubbiamente anche lo sportivo non vaccinato più famoso al mondo. Durante il conflitto sociale relativo ai certificati vaccinali, è diventato un’icona per tutti coloro che non hanno accettato la limitazione dei propri diritti condizionata dall’inoculazione del siero sperimentale. “Poter decidere sul mio corpo è più importante di qualsiasi titolo”, disse in seguito allo scandalo australiano. Poche semplici parole in grado di ispirare milioni di persone in difficoltà.

La posizione di Djokovic è ancor più ammirevole considerando che una persona nella sua posizione ha avuto ogni opportunità per aggirare il sistema, opportunità che moltissimi suoi colleghi (forse anche la maggior parte) hanno certamente utilizzato. È ciò che ha fatto Camila Giorgi, indagata per green pass falso, sebbene la tennista italiana sia solo la punta dell’iceberg di un mondo sportivo che non ha alcuna intenzione di perdere miliardi di profitti a causa di un siero sperimentale, ma allo stesso tempo non ha la coscienza politica e sociale per opporvisi apertamente. Djokovic è diverso: non gli basta averla spuntata ed essere lasciato in pace, lui vuole mandare un messaggio.

Djokovic non è il migliore solo perché ha battuto tutti i principali record della storia del tennis: è il migliore perché è una persona immensa. La differenza tra lui e gli altri sportivi d’élite, che hanno evitato il siero grazie alla complicità del loro medico personale (mica vanno all’hub vaccinale come i poveri mortali), è la stessa differenza che abbiamo visto noi ogni giorno della nostra mobilitazione contro il green pass.

Nelle università eravamo sempre in poche decine a mobilitarci contro questi soprusi. Ma sapevamo con certezza che c’erano centinaia di altri studenti non vaccinati che la pensavano come noi, ma che in nome del quieto vivere si accontentavano della didattica a distanza. Quanto abbiamo odiato queste persone.

Ebbene, la più grande lezione che ci ha dato Djokovic è proprio questa: a fare la Storia non è chi si nasconde nella speranza di essere lasciato in pace, ma chi si alza e dichiara a gran voce quello che pensa e quello che è.

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