A che punto è la notte americana?

di MARCO ALESSANDRO UNICI

La situazione odierna sembra rispecchiare, a grandi linee, quella del lungo periodo di crisi che passa tra III e IV secolo dopo Cristo: l’Impero Romano, ovvero l’egemone del tempo, è chiaramente in fase di declino, lacerato da lotte intestine, ma conserva la forza di difesa dei propri territori, è ancora capace di proteggersi dalle invasioni (con diverse modalità) e addirittura, a volte, di passare all’attacco. Ecco, l’egemone del nostro tempo, gli Stati Uniti, si trovano più o meno in quella condizione: la profonda crisi del Paese costringe le amministrazioni (repubblicane o democratiche che siano) ad avere un occhio di riguardo per il fronte interno. E così, dovendo comunque mantenere l’ordine ecumenico di cui si sono fatti carico, mandano in prima linea i propri foederati, limitandosi a sostenerli dalle retrovie.
Ora, sebbene questo “ritiro” possa farci ben sperare, non dobbiamo illuderci: la forza dell’impero americano non è venuta meno. Questo lo vediamo, soprattutto, dai due scenari più “caldi” del momento, ovvero il conflitto in Ucraina e la questione taiwanese. In Ucraina gli statunitensi stanno dimostrando di riuscire a mettere in moto un macchina bellica impressionante, tanto da obbligare i russi a chiamare la mobilitazione parziale per una guerra che, come pensava il Cremlino, sembrava si dovesse combattere contro un esercito impreparato e poco affidabile. Nell’Oceano Pacifico, dalle parti di Taiwan, gli USA di fatto dominano ancora il Mar Cinese con la loro flotta e non lasciano alcuno spazio marittimo a Pechino; non solo, perché a mano a mano stanno rinsaldando l’intesa con Giappone, India, Filippine e Australia proprio per delegare a costoro la funzione di contenimento anticinese.

Ebbene, ciò accade per un motivo piuttosto semplice, che è poi lo stesso che teneva in piedi lo Stato romano (almeno fino alla fine del IV secolo): gli apparati statali sono in grado di proseguire il loro lavoro al di là delle crisi correnti, cioè sono in grado di “viaggiare col pilota automatico”. Non dobbiamo assolutamente pensare, per ora, che gli Stati Uniti abbiano rinunciato alla loro proiezione egemonica mondiale. Si tratta di un declino relativo, in cui Washington sfrutta l’ascesa dei suoi satelliti per rinsaldare la presa sul mondo. Due esempi plastici di questo modus operandi sono il Giappone e la Polonia: a Tokyo sono intenzionati a intraprendere una decisa politica di riarmo, in totale antitesi con la dottrina post-1945, che vedeva il Sol Levante privato delle forze armate e costretto al pacifismo. Dal canto suo, Varsavia rappresenta ad oggi il bastione principale degli Stati Uniti in chiave antirussa: l’esercito polacco si appresta infatti a divenire il più armato e numeroso d’Europa.
Questa impostazione rimane invariata anche perché il regime mondiale continua a essere unipolare; nessuna potenza, attualmente, è in grado (purtroppo) di tenere testa al Leviatano americano. La Russia fatica a risolvere la guerra in Ucraina, come si è accennato poco sopra, e la Cina non dispone di capacità militari sufficienti per rompere la cintura di contenimento al largo delle sue coste (anche se la Cina sembra più interessata a intrattenere il maggior numero di rapporti commerciali con il resto del mondo, e ciò rende dubbia la sua reale volontà di un conflitto con gli USA che porterebbe necessariamente a un regime sanzionatorio nei suoi confronti, com’è successo per Mosca).
E, purtuttavia, all’interno degli Stati Uniti le faglie si allargano sempre di più: lo si è visto già con le elezioni presidenziali del 2016, ma tale spaccatura è emersa in maniera ancor più accentuata nel 2020. Non si tratta di movimenti secessionisti, sia ben chiaro, ma di autonomie. Alcuni ricorderanno l’episodio della paventata secessione della California all’indomani dell’elezione di Donald Trump nel 2016: eppure, guardandolo con un occhio più attento, questo evento non si poneva in contrasto con lo Stato americano, bensì con l’idea repubblicana (all’epoca trumpiana) di esso, che è una sottilissima ma cruciale differenza. Inoltre, negli ultimi anni e specie nel periodo pandemico con il fenomeno Ron DeSantis, si sono affermati dei veri e propri “fortini” delle due fazioni nei singoli Stati: in questo senso valga l’esempio dei già citati Stati della California, più liberal, e della Florida, decisamente più conservatore.

Dunque i parallelismi con il periodo di crisi dell’Impero Romano non mancano. Abbiamo delle forti turbolenze interne che rispecchiano a grandi linee quelle del cinquatennio del III secolo d.C., in cui circa venti imperatori si succedettero in una spirale sanguinosissima di congiure. Uno scenario estero che, seppur viziato dai problemi “casalinghi”, cerca di stabilizzarsi tramite l’uso (e l’abuso) dei satelliti dell’impero; anche qui, un contesto quasi analogo con quello, ad esempio, del regno di Palmira dove Settimio Odenato, fregiato di numerosi titoli (fra cui quello di corrector totius Orientis direttamente dall’imperatore Gallieno) risolse in autonomia le difficili campagne contro i Parti.

Da ultimo non rimane che rispondere alla domanda che funge da titolo per questo scritto: a che punto è la notte americana? Potremmo dire, viste le ragioni di cui sopra, che è all’inizio della sera, se non addirittura al tardo pomeriggio. Occorre ricordare infatti che Roma non cadde sotto i colpi della gravissima crisi del III secolo, grazie soprattutto a delle personalità eccezionali come Aureliano, Diocleziano e Costantino, i quali non solo riuscirono a riportare l’ordine all’interno dell’amministrazione ma diedero nuova linfa all’essenza stessa dello Stato romano (si pensi alle riforme di Diocleziano che determinarono il passaggio dal Principato al Dominato o alla libertà di culto di Costantino). Eppure non è detto che gli Stati Uniti siano destinati ad avere uomini di tale caratura, per cui, in un’ottica nazionale e anche europea, è assolutamente necessario guardare alle negligenze americane e sfruttarle per cercare di ritagliarsi degli spazi di manovra, se non addirittura per accelerare quel processo di declino che è già in atto.

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