di MARCO ALESSANDRO UNICI
Il 15 ottobre scorso si è celebrata a Trieste la commemorazione del più famoso 15 ottobre, quello di un anno fa; diverse le persone che hanno ricordato l’infamia di quel giorno, in cui si estese il Green Pass anche sui luoghi di lavoro. Il lunedì dopo, ovvero il 18 ottobre, gli ormai noti portuali di Trieste furono sgomberati dal varco 4 del Molo VII che avevano occupato. E certamente chi scrive ricorda bene quel giorno e vi ravvisò, in un primo momento, la stessa ferocia del potere per cui molti altri, insieme a lui, si scandalizzarono; ma già nei mesi successivi all’evento, quando si fu capaci di ragionare a mente fredda, si cominciò ad analizzare più criticamente le mosse dei “nostri”, arrivando a far serpeggiare l’idea che la disfatta fu, in gran parte, “colpa nostra”. In questo articolo si vuole prendere in considerazione specialmente quell’idea, che il sottoscritto del resto condivide appieno.
Dapprima il contesto: il 15 ottobre 2021 si scese in piazza contro l’introduzione, da parte del governo Draghi, del Green Pass sui luoghi di lavoro. I portuali di Trieste avevano bloccato quello stesso giorno il varco 4 del Molo VII, una delle entrate principali del porto della città. Sull’esempio di Trieste, altri scali della Penisola avevano cominciato a creare problemi, fermando i lavori; c’era molta speranza riposta nell’azione dei triestini, poiché la città non era solo il più importante scalo commerciale d’Italia, ma anche di buona parte dell’Europa centrale. Nella giornata di lunedì 18, la questura di Trieste procedette (in modo decisamente rude) allo sgombero dei portuali, che transitarono nella piazza principale della città. Da lì in poi, si assistette a un presidio continuo in Piazza dell’Unità d’Italia da parte non solo dei portuali, ma anche di decine e decine di persone giunte da tutta Italia per dare il loro sostegno, alcuni dei quali avevano già preso parte al presidio del porto. Ma ormai la sconfitta era pressoché conclamata: senza più alcun blocco (significativo in termini economici, poiché era ciò che più contava per assestare un duro colpo al governo) la speranza di un’opposizione (forse persino di una rivoluzione) iniziò a svanire. In una progressione lenta ma costante, contigua all’arrivo del freddo invernale, le piazze cominciarono a svuotarsi e le quarantene ad aumentare: in diversi si piegarono al pass da guarigione per sopravvivere, seppure un gesto dettato dalla disperazione (e dalla sconfitta, per l’appunto).
Chi scrive non vuole soffermarsi in inutili premesse del tipo “premettendo che dobbiamo molto ai portuali di Trieste”: questa vuole essere un’analisi fredda della realtà e, per esserlo, deve poter essere scevra da ogni convenevole.
Ebbene, quella dei portuali è stata una sconfitta per due ragioni, una particolare e un’altra, a livello induttivo, più generale. La prima è stata constatata dalle stesse persone che hanno assistito ai fatti di Trieste, ossia che non è possibile pensare a un’azione di tale portata senza un piano. L’occupazione è iniziata il venerdì, profilando davanti a sé il fine settimana, e questo è stato un errore fatale; per tre giorni non si è fatto altro, nel resto d’Italia, che assistere a una grande illusione riguardo ciò che avveniva in quel porto, poiché il potere, non subendo significativi danni nel frattempo, probabilmente aveva già programmato lo sgombero all’inizio della settimana successiva. Questo fu anche colpa degli “organizzatori”, evidentemente impreparati a gestire una sollevazione del genere. Perciò in quei giorni, già strategicamente dannosi per l’azione che si intendeva fare, si sono assunti atteggiamenti festosi e gaudenti, atteggiamenti divenuti spesso un classico delle piazze No Green Pass. A questo punto si potrebbe ribattere affermando che i manifestanti avevano sicuramente buoni motivi per essere allegri, era in corso una grande sommossa. Al che occorrerebbe rispondere che i festeggiamenti si celebrano solo dopo una vittoria. Infatti, il lunedì, la polizia ha proceduto allo sgombero.
Da qui deriva la seconda ragione, che è una considerazione applicabile più in generale: quando si scende in piazza, e ancor di più per compiere delle azioni forti come quella nel porto di Trieste, si scende per vincere, non per festeggiare. Come è stato detto poco sopra, questa è una caratteristica delle piazze “nostre”, quella cioè di rispondere al potere non solo con canzoncine e balletti in piazza, ma anche con delle doverose (quasi a timore dell’opinione pubblica) premesse di “manifestazione pacifica”. È bene dunque ammettere un fatto ormai sotto gli occhi di tutti: l’area antisistema, sia dentro sia fuori le istituzioni, non è in grado di fare politica, e in quel 18 ottobre si è dimostrato esattamente questo. Quello dei portuali di Trieste è solo uno dei tanti esempi della “lotta” praticata dalla nostra area, la quale si è basata essenzialmente sul rincorrere il fenomeno del momento (dagli avvocati azzeccagarbugli ai medici sospesi, dai portuali ai cittadini russi esclusi dalla società) senza elaborare dei criteri di orientamento politico-culturali attraverso i quali muovere le proteste di piazza. Oltretutto, cosa forse ancor più importante, non si è stati in grado di proiettare all’esterno questa “lotta”, che appariva agli occhi dei più come una lagna di pochissimi invece che un problema comune.
Tali considerazioni sono d’obbligo in quanto, in alcuni casi, la reazione ai fatti di Trieste si è limitata semplicemente all’indignazione per l’accaduto (seppur giusta) e alla glorificazione dei portuali stessi (tanto che il leader Stefano Puzzer è finito candidato alle elezioni di quest’anno), visti quasi come eroi e martiri. Bisogna ripensare in maniera critica quell’evento, che non vuol dire liquidare azioni di quel tipo, ma evidenziare e imparare dagli errori commessi; e ciò sarà ancor più proficuo se seguito da un cambio di prospettiva generale delle modalità di protesta, processo a cui certamente Fuori Perimetro darà il suo contributo. Constatare la necessità di costruire un patrimonio culturale comune, specie dopo l’ulteriore sconfitta alle urne, è il modo migliore per iniziare una vera opposizione al sistema.