In ogni minoranza intelligente
c’è pur sempre una maggioranza di imbecilli
André Malraux
di MARCO BONSANTO
Le elezioni di domenica 25 settembre 2022 hanno visto la vittoria del Centrodestra e, in particolare, del partito Fratelli d’Italia guidato dalla Meloni. Secondo gli accordi pre-elettorali, quest’ultima è candidata alla guida del prossimo Governo.
E’ un risultato che è stato ottenuto sulla base di tre sbandierati propositi politici: cancellazione del Reddito di cittadinanza, modifica della Costituzione in senso presidenziale, appoggio alla Nato sulla questione ucraina. Dunque più o meno in continuità con le politiche delle vecchie élite industriali e finanziarie (v. Aspen Institute). FdI ha incassato per questi motivi anche molti voti leghisti, delusi da un Salvini in ginocchio davanti a Draghi, UE e BighTech d’oltreoceano (v. WEF). Molti altri voti infine gli sono giunti probabilmente da chi ha ritenuto esagerate le politiche pandemiche degli ultimi due governi, di cui FdI ha condannato (anche se non veramente contrastato) alcuni provvedimenti, come l’obbligo vaccinale e il Green Pass. Quanto in queste posizioni fosse strumentale al consenso e quanto invece no, lo scopriremo nei primi mesi di governo e, più in generale, nella volontà del nuovo esecutivo di assecondare o meno le spinte distruttive che provengono dalla politica dell’emergenza ormai divenuta prassi di governo in tutta Europa.
Resta un fatto: i partiti anti-sistema – che invece proprio dalla lotta frontale a questa politica sono nati – non sono riusciti a superare lo sbarramento del 3% previsto dalla legge elettorale. Eppure, secondo i dati ufficiali sono stati diversi milioni i cittadini esclusi dalla vita civile per via di Greenpass e vaccini. Ancora a dicembre 2021 un sondaggio dell’Istituto Piepoli dava un eventuale “partito No Green Pass” addirittura oltre il 20%! Perché dunque questo capitale è andato disperso così miseramente?
Vengono in rilievo qui due ordini di motivi, esterni ed interni all’area del dissenso.
Tra i primi è da annoverarsi certamente la diretta volontà dei partiti di sistema di escludere gli altri grazie alla loro consolidata posizione di forza. Prima delegittimandoli davanti all’opinione pubblica come partiti contrari all’interesse nazionale; poi obbligandoli ad una estenuante raccolta-firme estiva (che per es. li ha esclusi dalle circoscrizioni all’estero); infine cancellandoli con la congiura del silenzio dal mainstream informativo. Moltissimi cittadini non ne conoscevano nemmeno l’esistenza. In ogni caso, mancava ad essi il sigillo di credibilità che nella nostra società spettacolarizzata è conferito ancora quasi soltanto dal passaggio in TV.
Senza togliere importanza ai primi fattori, i motivi interni sono però più significativi per un’evoluzione del movimento di resistenza. I partiti anti-sistema che sono riusciti a raccogliere le firme necessarie per presentarsi alle consultazioni sono stati i quattro nati dalle proteste anti-pandemiche (Italia Sovrana e Popolare, Italexit, Vita e Alternativa per l’Italia), più Unione Popolare di De Magistris (in realtà Potere al Popolo), di area antagonista. Esclusa ISP, che ha tentato sino alla fine di unire le forze, nessuno degli altri partiti ha seriamente pensato di farlo, presentandosi infine da solo. Questo “peccato originale” è stato certamente quello che ha oggettivamente contribuito di più alla débacle; perché nonostante l’ostracismo subito, l’unità anche solo dei primi tre partiti avrebbe ampiamente 1 permesso il superamento dello sbarramento. A chi li ha votati, infatti, si sarebbero aggiunti probabilmente anche molti di quelli, che hanno preferito astenersi scorgendo nella loro disunione l’effetto di una temuta attività di gatekeeping.
E’ pertanto dai motivi di questa mancata unità che si può trarre il massimo insegnamento politico da quanto successo. In prima battuta, essa è da ascriversi direttamente all’incapacità di mediazione dei capi-partito, che non sono riusciti a fondere in un unico progetto istanze politiche pur identiche. Al netto dei protagonismi individuali, tuttavia, questa incapacità non è da ritenersi contingente ma figlia di cause più profonde. Essa infatti rispecchia fedelmente la sostanziale immaturità politica di coloro che i partiti anti-sistema rappresentano. Si tratta di minoranze, va detto, ancora in grado di reagire ad atti d’ingiustizia conclamata e di elaborare una visione alternativa alla propaganda istituzionale – ma come il resto del Paese ormai minate nella loro capacità di fare politica.
Uno dei primi segni della loro impreparazione è l’identificazione della politica con l’ideologia, e pertanto la confusione tra prassi e analisi (della situazione). E’ un errore che proviene dalla convinzione fanciullesca che la giustizia possa trionfare come effetto della sola verità. La quale invece pur essendo necessaria non è però sufficiente, costituendo in politica soltanto un mezzo e non un fine. Senza tener fermo questo rapporto non si è più in grado di distinguere – ancor più nella società dei media – tra Informazione e Politica, né di individuarne di volta in volta il preciso benché non più predeterminabile punto di caduta. Con la conseguenza di confondere le parole con le cose. Ciò che l’area del dissenso ha infatti chiesto ai suoi capi come pegno elettorale, è stata anzitutto l’intransigenza di propositi verso l’interpretazione demistificante della realtà politica elaborata in questi ultimi due anni di lotta – non il modo pratico di realizzarne le soluzioni, che passa inevitabilmente attraverso mediazioni e compromessi.
Questa veemente richiesta di lealtà – esito emotivo dei “tradimenti” dei partiti che un tempo furono anti-sistema (Lega e M5Stelle) – ha prodotto un nodo scorsoio nel quale è finito strangolato lo stesso movimento di resistenza. Da un lato, infatti, ha costretto i singoli partiti a una sterile gara per accreditarsi quali “fedeli” ed “unici” rappresentanti delle istanze del dissenso, impedendone così l’unione in un solo fronte. Dall’altro invece (e malgrado questi sforzi!) ha prodotto l’inevitabile “delusione” di molti dissidenti, integralisti spaventati che vedevano nella pur minima attività di dialogo con altre forze una prova evidente della “malafede” dei capi-partito, divenuti all’improvviso tutti “inaffidabili” e più massoni dei massoni che pretendevano di combattere!
Da questo approccio sentimentale alla politica – che traspone categorie “affettive” là dove dovrebbe prevalere la ragione: ecco l’immaturità! – è nata in ultima analisi la grande astensione registrata soprattutto tra coloro che avrebbero avuto ben più validi motivi di altri per votare, come tentare d’impedire per il futuro gli abusi di potere più gravi. Nell’ingenua speranza di ottenere una palingenesi istantanea della Verità – secondo uno schema cristiano di cui pochi si accorgono – si è persa un’occasione vera di intaccare il fronte avversario e guadagnare qualche pur piccola postazione nelle istituzioni. Il solo vero risultato ottenuto (oltre alla crassa soddisfazione di chi ritiene di non essersi “fatto ingannare”, pensando evidentemente che si possa essere nel giusto da soli), è che il prossimo Parlamento non avrà nemmeno quella trentina di deputati, trànsfughi da tutti i partiti di sistema, che nell’attuale si sono opposti con l’esempio, hanno informato delle manovre anticostituzionali in corso, denunciato gli abusi, permesso a medici e giuristi di esporre in Senato i 2 risultati di inchieste economiche e ricerche scientifiche confutanti le politiche pandemiche governative. E tutto ciò, occorre ricordarlo, grazie proprio a quell’assenza di vincolo nel mandato elettorale, che in Costituzione è il presupposto di tutti i possibili “tradimenti” politici… Anche di quelli giusti. Giacché per questo fu voluto dai Padri costituenti!
Questa via emotiva alla realtà eleva il modo di ragionare che il singolo adotta nei suoi comportamenti privati a criterio di scelta nelle dinamiche complesse delle istituzioni, che invece rispondono a ben altre leggi. Essa è l’esito di pluridecennali strategie d’infantilizzazione dell’opinione pubblica volutamente operate dalle élite neoliberiste per rendere il cittadino più prono alla fiducia in chi governa e dunque all’obbedienza. E conduce dritti all’incapacità di valutare oggettivamente (cioè a prescindere da giudizi morali) le forze in campo, i loro interessi e il modo di sfruttarli a vantaggio di ciò in cui si crede, attraverso opportune negoziazioni fatte a tempo e a luogo. Si possono esigere infatti dai propri partiti criteri preventivi per impedire che l’opportunismo politico degeneri in spregiudicatezza morale, ma non si può prescindere da alleanze se si vuole avere una chance di cambiamento. Smorzare il purismo e gestire l’indignazione sono condizioni essenziali per riuscire a coinvolgere nella propria orbita forze che incarnino zone prossimali d’interesse sociale. O, viceversa, per rendersi momentaneamente utili ai grandi attori (anche istituzionali!) che per qualche motivo potrebbero trarre vantaggio da un’alleanza strumentale con l’area del dissenso, in cambio di qualche concessione. La prima regola strategica in una lotta impari, infatti, è di dividere le forze del nemico.
Ma a tal fine è necessario avere padronanza della dimensione temporale nella quale cerchiamo di operare. La velleità di ottenere tutto e subito, l’incapacità cioè di impegnarsi in una lotta che vada oltre il fatto emergenziale e coincida invece potenzialmente con la propria stessa vita, è il sintomo di una fondamentale estraneità alla vera virtù politica, che progetta e pianifica nella convinzione che il bene si realizzi solo un po’ alla volta e senza definitive garanzie di tutela. E’ un’incapacità che nasce dalla difficoltà tutta adolescenziale di mantenersi saldi nell’incertezza angosciante della crisi, e che porta molti provati cittadini a propositi di “fuga” all’estero o in ristrette comunità interne, al sogno di una società “alternativa” e parallela, dove il Bene possa realizzarsi senza compromessi.
E forse è stata proprio quest’ultima convinzione – la più pericolosa di tutte – ad aver provocato l’attuale fallimento del movimento di resistenza: quella cioè di credersi l’incarnazione di un’umanità moralmente superiore alla presente, destinata invece a inabissarsi nel male che coltiva. Convinzione speculare a quella di coloro contro cui crediamo di combattere e che invece probabilmente aiutiamo, in un inconsapevole e micidiale cortocircuito esistenziale.