Esiti delle elezioni, un risultato scontato?

di GIULIO BABINI

Come si poteva prevedere facilmente, l’ala destra ha preso più voti, anche se con una percentuale davvero bassa sul totale, considerata la mole delle astensioni. Fatto salvo chi ha sempre votato “destra”, Giorgia Meloni era l’unica leader non ancora “bruciata” fra i candidati più noti, ed è questo forse il motivo principale del suo successo. Salvini, Conte, Letta e Renzi avevano già avuto la loro occasione. Evidentemente, nessuno di loro aveva convinto, eccetto forse Conte, che sembra aver lasciato dietro di sé una qualche credibilità.

Fra i partiti antisistema, come forse auspicabile, nessuno di questi ha superato lo sbarramento minimo del 3%, nemmeno Italexit. La maggioranza degli elettori, in effetti, non conosceva nemmeno i loro simboli, e tantomeno il loro intento di rottura, eccetto forse per l’ultra-pubblicizzato partito di Paragone. E poi si sa, prima che un simbolo colga i cuori e le menti del popolo, serve un certo tempo.

Partiti antisistema vs Movimento 5 stelle

Facendo un confronto fra il primo m5s e gli attuali antisistema, questi ultimi si muovono in una condizione più ostica rispetto a quella in cui si trovarono Grillo e Casaleggio quindici anni fa.

Primo, la differente esposizione mediatica. Grillo era già un personaggio sulla cresta dell’onda prima di fondare il movimento, pertanto l’attenzione mediatica non avrebbe potuto nasconderne la nascita. Questo fu certamente uno dei successi del movimento nel veicolare un’ingente parte del dissenso popolare. Per gli odierni partiti, questo compito è assai più difficile.

Secondariamente, la retorica che utilizzava Grillo era più “attraente” a livello mediatico, e per questo più soggetta ad esposizione pubblica. Il linguaggio espressivo di Grillo colpiva l’attenzione e rappresentava una sostanziale novità rispetto al linguaggio “politichese”, criticato allora per la sua ambiguità e volto a celare la poca sostanza delle idee.

Terzo, le motivazioni alla base dell’odierna protesta sono certamente meno comprensibili al grosso dell’opinione pubblica rispetto a quelle del primo m5s, e assai meno ovvie. Solo per fare un esempio, negli ultimi dieci anni è stata fortemente sfregiata la retorica dell’uscita dall’UE, rubricata ormai come populista e in qualche modo non attuabile. Dopotutto, il movimento che aveva fatto dell’uscita dall’euro uno dei suoi cavalli di battaglia non è riuscita minimamente nell’intento. Insomma, il tema è stato già ampiamente cavalcato, e gli occhi e le orecchie dell’elettore medio hanno già visto e udito.

Per ultimo, l’improvvisazione. Ciò da cui i partiti del 2022 sono nati, è frutto sostanzialmente delle ingiustizie degli ultimi due anni, mentre Casaleggio si prodigava in esperimenti digitali e ideologici già nei primi anni 90. Tutt’altro che improvvisazione. Lo stesso Grillo era da anni che parlava di certi temi. Il terreno era più solido.

Insomma, la situazione pare oggi assai più ostica per cavalcare un movimento/partito realmente antisistema.  

Aumento dell’astensionismo

Il notevole ampliamento della forbice dell’astensionismo che si è avuta quest’anno non va letto solo come elemento di sfiducia, ma anche come precisa strategia politica da parte di una componente dell’elettorato.

Che cosa può produrre un aumento dell’astensionismo? A livello istituzionale, potrebbe non essere un grosso problema, perché la legittimità del partito vincente viene comunque raggiunta sulla base del rapporto con i voti ottenuti dagli altri. In ogni caso, il sistema istituzionale dovrà comunque rendere conto all’opinione pubblica della forbice che non si è recata alle urne, e non potrà nascondere completamente la testa sotto la sabbia. In che modo verrà trattato l’astensionismo, sarà uno dei temi più interessanti, e lo vedremo nel prossimo periodo.

Fermo restando il possibile consolidamento di uno zoccolo non votante, vi sarà certamente una componente più morbida di astenuti che potrà riprendere a votare in un secondo momento, e non per forza i classici partiti. Prevedo con buona probabilità la creazione di qualche contenitore di voti, magari sotto forma di un ennesimo partito, in grado di ingraziarsi il dissenso. Un tentativo di arginare la corrente “populista” a cui viene associata la destra, attraverso un partito per la “scienza”? Chissà.  

Senza contare che una fetta di astenuti potrebbe venire limata sdoganando il voto a distanza, una sorta di smart-voting, per consentire l’affluenza a studenti e lavoratori fuori sede.

Altra cosa interessante sarà vedere come si comporteranno gli astenuti antisistema, sia nei confronti delle prossime vicende di piazza, dove la presenza della voce dei neo-partiti sarà certamente presente, sia nei confronti di altre iniziative di opposizione. Personalmente, avendo votato, reputo un errore l’astensione. Tuttavia credo quest’ultima sia una strategia inedita per la massa degli sfiduciati, strategia che mai è stata tentata così in massa. D’altro canto, è innegabile che questo è un aspetto problematico per chi rappresenta i partiti antisistema, e per la loro crescita, e se davvero non potremmo più andare al voto per altri 5 anni, un’occasione sprecata. Forse un’ingenuità che costerà caro.

Se poi seguissimo questa strategia del non voto, quanto tempo ci vorrebbe per convincere la maggior parte della popolazione a non votare? E quale sarebbe l’obiettivo da raggiungere? Di certo, nell’attesa che si compia questo progetto, dovremmo regalare anni di passività elettorale a chi può fare il buono e cattivo tempo: non ce lo possiamo permettere.

Errori e responsabilità dei partiti antisistema

Che errori possiamo imputare ai partiti antisistema? La loro incapacità, certamente, di costituire un fronte comune concentrandosi sulle questioni più rilevanti. Ma sulla carta tutto è semplice. Non serva da giustificazione, ma vi sono alcune difficoltà. La gioventù dei progetti, tanto per cominciare, dove un certo grado di elaborazione ideologica è richiesto per acquisire un minimo di credibilità. E se problematico può essere l’accordo interno fra soggetti provenienti da ambienti politicamente differenti, ancor più problematico può risultare l’accordo con figure esterne al partito.

C’è anche tanta paura, che viene mascherata da ostilità, nei confronti dello stringere accordi con elementi potenzialmente destabilizzanti. In questo giocano un ruolo, loro malgrado, gli “influencer della controinformazione”, che spesso nel voler essere contro tutto e tutti hanno suggellato un clima di sospetto pervasivo e totalizzante.

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *