di MARCO BONSANTO
Con le novità introdotte dal PNRR la Scuola italiana si trova oggi ad una svolta potenzialmente irreversibile, che ne stravolgerà definitivamente il profilo costituzionale e le sue autentiche finalità.
Le “riforme” dei decenni precedenti si inserivano in un quadro storico di transizione verso il mondo globalizzato all’insegna del neoliberismo divenuto paradigma economico-politico di riferimento. Esse erano raccomandate ma di fatto comandate ai governi nazionali da istituzioni lontane come il Fondo Monetario Internazionale e la Commissione Europea, e venivano immediatamente avallate dai sindacati confederali, Università e fondazioni private (come la “Einaudi” di Torino), dietro il paravento ideologico dello “svecchiamento” della Scuola italiana all’insegna del merito e del progresso. Questa agenda riformistica, adottata e implementata da governi di ogni colore (Riforme Berlinguer, Moratti, Gelmini), ha minato l’impianto strutturale della Scuola italiana con una pervicacia che è stata pari soltanto alla resistenza che il mondo della Scuola e le famiglie vi hanno opposto negli anni, per lo meno rallentandone il processo ed evitando le derive peggiori (Riforma Renzi).
Conosciamo bene i risultati di questa azione: da quando è stata sottoposta alle prime riforme la Scuola è diventata ingovernabile, bisognosa di continui interventi correttivi alle storture provocate dalle stesse precedenti innovazioni, mentre il lavoro di istruzione si è fatto letteralmente ingestibile. E tutto ciò al punto che ogni governo ritiene ormai di dover intervenire pasticciando ulteriormente il quadro con provvedimenti legislativi ad hoc vendute alla TV come “riforme”.
Le ricadute sulla qualità del sistema educativo italiano degli ultimi venti anni sono state enormi. Mentre il passaggio ad una società meno classista ha avuto una positiva ricaduta anche nei rapporti tra docenti e discenti, introdotto elementi di maggior collaborazione con le famiglie e di ascolto delle esigenze specifiche, la frammentazione del quadro generale introdotto dalla cd. “autonomia” scolastica ha avuto effetti letali sul valore dell’istruzione intesa come “leva sociale” a disposizione di tutti i cittadini. La declinazione aziendalistica dei rapporti nella comunità scolastica, con lo scadimento delle attività didattiche al modello progettistico e la conseguente continua ricerca di finanziamenti esterni, hanno inciso fortemente sull’insegnamento e la relativa preparazione degli studenti, sempre più contesi quali “utenti” di un servizio semi-privatistico e sempre meno destinatari di un patrimonio comune di conoscenze e metodologie essenziali alla loro maturazione di persone. Tanto che le loro persistenti difficoltà anche nei compiti elementari dell’istruzione primaria – leggere, scrivere e far di conto – sono ormai sotto gli occhi non soltanto degli specialisti del settore, ma dell’intera società che li riceve come futuri cittadini e lavoratori. Accanto a pochi ed isolati esempi di eccellenza (probabilmente dovuti più a locali standard di qualità, che non alle novità introdotte), l’analfabetismo funzionale dei diplomati e dei laureati è di fatto il risultato più diffuso e significativo di questa intensa stagione riformistica all’insegna della “didattica delle competenze”; insieme alla medicalizzazione sistematica dell’ambiente scolastico e alle nefaste ricadute sull’equilibrio psichico dei giovani che lo frequentano.
Tre anni fa l’apertura di ciò che il capo della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha esplicitamente chiamato “l’epoca pandemica”, ha permesso un’accelerazione mai vista prima della penetrazione nelle politiche nazionali dell’agenda lobbistica internazionale, attraverso la messa in mora a tempo indeterminato delle normali procedure di controllo e correzione delle decisioni politiche. Queste ultime, degenerate ormai in un profluvio di provvedimenti amministrativi divenuto continuo e insindacabile, bypassano tanto il dibattito pubblico (già scarso) quanto l’eventuale sindacato giurisdizionale di una magistratura sempre meno indipendente. Ne è conseguito che mai come in questi ultimi tre anni la spinta “riformistica” da sempre caldeggiata per il nostro Paese dai centri esteri del potere neoliberista ha subito minor vaglio critico, emendamento o vera e propria opposizione, da parte delle istituzioni di garanzia, dei corpi intermedi e delle singole categorie.
Nel giro di pochissimi mesi, senza il minimo confronto pubblico né possibilità di mediazione, sono state approvate in UE e sono divenute leggi in diversi Stati dell’Unione direttive sanitarie all’insegna del vaccinismo, che hanno letteralmente stravolto ogni articolo del Codice di Norimberga e della Convenzione di Oviedo, alterato in modo permanente il tradizionale rapporto (etico, scientifico e amministrativo) tra cittadino e Sanità, sottratto agli Stati nazionali la responsabilità diretta della Salute pubblica (vedasi il cd. “Trattato pandemico”); direttive sulla schedatura e il controllo dei cittadini (Greenpass e ID), sulla Transizione ecologica (esproprio di case, automobili e allevamenti animali “non convertiti”), sulla Transizione digitale (introduzione nelle Pubbliche amministrazioni e negli ambienti di lavoro di veri e propri strumenti di sorveglianza e di rilevazione biometrica), sull’Alimentazione (farine di insetti e carne sintetica), sulla Cultura eugenetica (utero in affitto, eutanasia per i bambini, ecc.), sul Cambiamento climatico (razionamenti), energetiche (interruzione delle forniture russe con conseguente impazzimento dei mercati di riferimento) e, quale ultimo tabù, persino belliche (sostegno militare diretto, con uomini e materiali, ad uno Stato non “europeo” e non “alleato”).
Adesso è venuto il momento della Scuola.
Il PNRR – derivazione nazionale del programma europeo Next Generation EU – finanzia con una generosità mai vista prima trasformazioni senza ritorno al modello d’istruzione d’impronta umanistica e scientifica che è tipico della tradizione italiana, e che la Costituzione tutela e promuove nel quadro dei valori e delle esigenze repubblicane nate dalla lotta al nazifascismo.
In primo luogo, attraverso la pesante e forzata conversione degli ambienti di apprendimento in funzione delle tecnologie informatiche di ultima generazione. Queste tecnologie cancellano i limiti tra spazio-scuola e società, tra lavoro e tempo privato, tra insegnamento e produzione (di Big Data), tra vita e apprendimento, facendo della scuola un contenitore vuoto colonizzato da ideologie e attori economici privati, finora tenuti a debita distanza dalla vocazione laica della scuola. Per lo più visuali e interattive, esse impoveriranno definitivamente il già precario rapporto degli attuali studenti con la testualità e i percorsi intellettuali superiori che solo essa promuove. La rimodulazione degli spazi scolastici attraverso queste nuove tecnologie limiterà ulteriormente la forza motivazionale che nell’apprendimento tradizionale nasce dal rapporto umano con gli insegnanti e i propri compagni, compresa l’esigenza di gestire progressivamente la conflittualità e le eventuali frustrazioni. Perché ciò legittimerà fin dall’infanzia la tendenza dominante in società a relegare le proprie esperienze di vita e di pensiero ad una mediazione virtuale asettica e preimpostata, privata dell’esigenza pratica di monitorarne i progressi e correggerne i risultati in corso d’opera: unico modo in cui si può conseguire la conoscenza e la padronanza del proprio sé.
In secondo luogo, aprendo di forza la scuola – luogo protetto di cura e di crescita guidata del discente – alle dinamiche rapinose di una società che si è fatta negli anni sempre più verticistica e diseguale nelle opportunità; il tutto come presunta risposta ad una scuola “tradizionale”, che di fatto non esiste più da decenni, ma alla quale si attribuiscono tutti i mali che invece sono figli delle riforme. Dietro il paravento ideologico del “merito” c’è la volontà di spaccare quel che resta del corpo docente, di comprare la collaborazione degli incerti e dei volenterosi poco avveduti, facendo scadere l’attività d’insegnamento a indottrinamento ideologico, imbonimento di servizi vari, intrattenimento di giovani infantilizzati, assistenza sanitaria e supporto tecnico alle macchine.
Le ultime novità – quella del docente Tutor e del docente Orientatore – sono l’ennesima riproposizione in altra forma di questo tentativo, già avanzato dalla Riforma Renzi.
Il primo dovrà seguire lo studente per consigliare (o suggerire?) a lui e alla sua famiglia strategie di personalizzazione nei percorsi di apprendimento. Scelte che ovviamente ricadranno sul lavoro dei colleghi docenti, ormai privati della libertà d’insegnamento costituzionalmente garantita. Una specie di motivatore aziendale, insomma. A parte la scarsa fattibilità pratica di una proposta del genere – con classi di 25 e più studenti – l’idea di personalizzare il percorso di apprendimento può sembrare a prima vista auspicabile, ma di fatto va contro il preciso compito della scuola democratica, che è di fornire a tutti le stesse opportunità di partenza nella vita reale attraverso le medesime acquisizioni di base, indipendentemente dall’area geografica, dalla provenienza sociale e dal censo. La scuola serve a superare le differenze iniziali e personali in direzione di uno standard minimo di qualità per tutti, non ad assecondarle! Saranno poi i percorsi d’istruzione universitari a soddisfare e approfondire le esigenze specifiche di ognuno. Viceversa, col docente Tutor si vogliono radicalizzare le differenze iniziali, divaricandole in percorsi di studio à la carte come nelle scuole anglosassoni, dove lo studente può scegliere le materie da studiare (o il modo in cui studiarle) come se fosse al supermercato. La soddisfazione del cliente prima di tutto! Verrà così a cadere la funzione della scuola di promuovere lo sviluppo integrale della persona nella molteplicità delle sue capacità, traghettandola verso l’idea antidemocratica di una profilazione dello studente per compiti sociali specifici e predestinati.
E proprio questo sarà il compito del docente Orientatore, nulla più che un consulente delle risorse umane che le aziende inseriranno direttamente nelle scuole, per anticipare e scaricare sul pubblico la loro attività di screening dei lavoratori. Col tempo il suo ruolo diventerà di fatto quello di profilare gli studenti ab origine verso destinazioni formative specifiche via via richieste dal mercato del lavoro. Con la scusa di fornire maggiore consapevolezza allo studente sui suoi limiti e le sue abilità, lo si vuole fare oggetto di una predestinazione scolastica, lavorativa e professionale, che è l’esatto opposto di ciò a cui mira la scuola della Repubblica: permettere a tutti di maturare per tempo un’autentica consapevolezza di persona e di scegliere in completa autonomia le proprie finalità di vita.
Per tutto ciò il corpo decente deve opporsi a questa deriva distruttiva del senso stesso della scuola e dell’istruzione che in essa si fornisce. Anzitutto rifiutandosi di offrirsi per questi ruoli che degradano la loro professionalità e la loro vocazione di educatori. Molte iniziative governative sono fallite nel tempo per la resistenza offerta loro dagli insegnanti. I governi possono anche cadere, e le “riforme” passare in secondo piano fino ad essere dimenticate. Occorre una moratoria nazionale su queste novità introdotte senza dibattito e senza possibilità di confronto, e dunque irricevibili già solo per questi motivi. Non contribuiamo ad abbattere le ultime mura che difendono una scuola che si nutre della passione di persone, che certamente non insegnano per il magro stipendio che gli offre il Ministero del Merito, ma soprattutto per l’aderenza al nobile compito di formare le generazioni di domani.